La settimana scorsa ho visto uno spot in televisione.
Ammetto di non ricordare il prodotto, ma anche se lo ricordassi, non lo citerei per correttezza.
Per farla breve, il testo, assolutamente ineccepibile, si chiudeva parlando di valore condiviso.
La domanda che mi sono posto immediatamente è stata: “Ma il consumatore conoscerà Porter e Kramer? Avrà letto qualcosa sulla creazione di valore condiviso?”.
Ripeto che il testo era ineccepibile e scritto con grande pertinenza: ogni parola era perfetta e nel posto giusto.
Ma continua a ronzarmi l’idea che per il consumatore non sarà semplice comprenderne il significato profondo.
Dove voglio arrivare?
Ritengo che la comunicazione abbia il dovere di informare, evangelizzare, coinvolgere, eccetera, ma per potere assolvere al proprio dovere, non dovrebbe farlo attraverso l’uso di termini comuni?
Non mi riferisco al “linguaggio da bar”, che può essere comunque utilizzato se un prodotto viene venduto nei bar… Mi riferisco ad un linguaggio che non presupponga chissà quali conoscenze, un linguaggio che traduca le conoscenze stesse e le renda fruibili.
La mia non vuole essere una critica, ma solamente una riflessione.
Forse condividere questo articolo mi chiarirà le idee.
Parliamo tanto di cambiamento, ce lo auguriamo tutti di cuore e la comunicazione deve fare la sua parte, perché ha un ruolo fondamentale nel tracciare il cambiamento, purchè sappia coinvolgere e far sentire partecipi il maggior numero di persone.
La domanda è: possiamo creare/utilizzare un linguaggio del cambiamento, che identifichi questo preciso momento storico e lo racconti nel miglior modo possibile, dato che tutti siamo protagonisti della stessa storia?
Esempio: se la comunicazione Istituzionale, del Governo, degli ultimi mesi fosse stata meno imprecisa (per usare un eufemismo) forse i cittadini avrebbero meglio percepito e recepito il problema?
Il mio esempio non vuole tirare in ballo questioni politiche, ma sottolineare quanto una comunicazione NON pensata per essere da tutti comprensibile, non aiuti a cambiare, non aiuti ad essere migliori.
Articolo di Fabio Tagliazucchi